22 Aprile 2025
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È in atto in Italia una discussione che riguarda la lingua italiana. La animano dei linguisti che denunciano l’abuso di parole inglesi in sostituzione di parole italiane e affermano che la nostra bella lingua va difesa da questi eccessi. Affermano che l’attenzione delle istituzioni pubbliche si è concentrata, in vario modo e con risultati alterni, sulle questioni linguistiche riguardanti il genere maschile e femminile, ma non si fa lo stesso o con la stessa energia ciò che sarebbe necessario per limitare l’abuso di parole inglesi.

C’è la consapevolezza che qualsiasi legge o costrizione istituzionale rispetto alla lingua da usare non ha mai avuto l’effetto desiderato, quello cioè di preservare la purezza della lingua. Perfino il fascismo, che di costrizioni istituzionali era davvero esperto, non riuscì ad estirpare parole ritenute pericolose per la purezza della lingua (con proposte a dire il vero ridicole, come voler imporre “bevanda arlecchino” al posto di “cocktail” o anche guidoslitta “al posto di “bob”).

Non è soltanto una discussione tra linguisti. Si tratta di osservare la società, di analizzare la lingua che si parla tutti i giorni, senza pregiudizi.

Gli ultimi studi, suffragati da statistiche accurate sembrano avvalorare la tesi dell’abuso. Statistiche alla mano dimostrano che non è soltanto un’invasione di sostantivi destinati ad essere presto dimenticati, una specie di moda letteraria, ma di un meccanismo di ibridazione che sotterraneamente (ma non tanto) sta aumentando. Non si tratta, per esempio, dell’affermazione ormai indiscussa di “babysitter” su “bambinaia” o “tata”, oppure di “fast food” su “pasto veloce”. Il punto è la capacità di proliferazione di un’espressione, perché dopo babysitter arriva dog sitter e dopo fast food ci ritroviamo con street food o finger food. Si sottolinea anche che viene metabolizzata più o meno inconsciamente anche la struttura sintattica, la posizione delle parole, che proviene dall’inglese ed è diversa da quella italiana. Un esempio: “responsabile della comunicazione digitale” diventa “social media manager”.

Abbiamo assistito nel corso dei secoli alla contrapposizione sociale tra chi parlava latino e chi no; poi all’altra contrapposizione tra chi parlava italiano e chi disponeva soltanto del dialetto per comunicare. Erano situazioni che esprimevano chiaramente una posizione di potere e di subalternità sociale. Ai nostri giorni se usiamo un termine inglese che non ha un corrispettivo in italiano ed è ormai di fatto assimilato alla nostra lingua, per esempio tram, non ci sono questioni di potere. Ma quando esiste un perfetto equivalente italiano e la scelta è favorevole all’anglicismo pare insomma che si ripropongano questioni antiche di potere e sudditanza culturale e non solo.

La rapidità della comunicazione e la semplificazione dei concetti sono dei totem da ossequiare se si vuole avere successo, in particolare nella lingua della pubblicità e in quella dell’economia. In ‘aziendalese’ è ormai molto raro usare chiamata invece di call oppure scrivere un commento invece di un feedback.

A me il verbo “semplificare” preoccupa. Per me il fatto che in inglese le parole italiane porta, portone, sportello e anta si traducano tutte con door testimonia che la via della semplificazione è la strada maestra dell’impoverimento della lingua. Se ho a disposizione un vocabolario ricco e vario posso comunicare in modo più preciso. Questa è la ragione per cui diffido degli slogan della pubblicità e della politica, in particolare di quest’ultima, perché ritengo che chi usa una lingua molto semplificata per formulare una soluzione per problemi complessi o è culturalmente inadeguato o nasconde qualcosa (o entrambe le cose).

Per finire e per rendere omaggio alla nostra bella lingua una citazione da un libro a cui quest’articolo deve molto:“Nell’edizione italiana del vecchio film di successo “Un pesce di nome Wanda” (Charles Crichton, 1988), quando la protagonista Jamie Lee Curtis sentiva parlare in spagnolo perdeva ogni inibizione sessuale. Ma forse non tutti sanno che nella versione originale in lingua inglese era l’italiano a farle girare la testa, la lingua di Casanova e di Rodolfo Valentino, la lingua dell’amore. Il paradosso è che la soavità della nostra lingua è adorata in tutto il mondo, anche se in patria ci sembra disonorevole, davanti all’inglese.” Da “Meglio l’italiano o l’itanglese? Linee guida sull’uso di anglicismi nella comunicazione trasparente” di Antonio Zoppetti, edito da Mind Edizioni, 2024.