8 Febbraio 2025
RDC

Per un insegnante ci sono piccole soddisfazioni che rimangono perfettamente registrate nella memoria e conservano quella sensazione piacevolissima di sano orgoglio professionale.

Eccone un esempio. Bar interno della scuola di lingua italiana per stranieri Dilit, Pausa insieme alla classe, studenti poco più che principianti, una ventina di ore di lezione alle spalle. Vivace discussione comune su dove andare a mangiare una pizza la sera stessa. Almeno 6/7 le proposte avanzate dagli studenti. Io intervengo dicendo che bisogna sbrigarsi perché la pausa sta finendo e dobbiamo tornare in classe. E a questo punto interviene uno studente giapponese, mezza età, diligentissimo, sempre molto riservato. Mi guarda e con ottimo tempismo, perfetta intonazione e rigorosa correttezza morfologica e sintattica esclama: “Allora decidi tu!” Attimo di silenzio, tutti gli sguardi su di lui e scoppia una irrefrenabile risata generale. Spiegazione: prima della pausa avevamo fatto in classe un’attività denominata “Ricostruzione di Conversazione” e il dialogo che avevamo ricostruito comprendeva lo stesso enunciato usato dallo studente giapponese. Perché tutti hanno riso? Molto semplice: sembrava che avesse parlato un italiano! L’appropriatezza e l’immediatezza della risposta al mio invito a sbrigarsi, l’impeccabilità dell’intonazione e della pronuncia aveva trasformato per qualche secondo il compassato signore nipponico in un parlante nativo italiano. E l’esecuzione perfetta dell’enunciato aveva colto di sorpresa e zittito tutti. Poi le risate e qualche (timida) pacca sulle spalle.

Prima di continuare bisogna precisare qualcosa. Prima di tutto il nome del lavoro fatto in classe, la Ricostruzione di Conversazione. Si tratta di ricostruire un dialogo che ha realmente avuto luogo e che l’insegnante ha scelto. L’insegnante fornisce informazioni agli studenti che tentano, proponendo ipotesi, di ricreare gli enunciati originali. 

Si potrebbe rappresentare la Ricostruzione di Conversazione come un viaggio all’interno di una buia miniera con l’insegnante come capogruppo con in testa il classico elmetto con una lampada che illumina il percorso, la via da seguire per arrivare alla meta, all’elemento ricercato, fino a completare l’enunciato bersaglio.

L’insegnante, senza usare le parole del dialogo e con istruzioni adeguate che obbligano gli studenti a fare riflessioni sulla correttezza delle ipotesi proposte, le fa modificare e guida la classe fino a completare il dialogo originale scelto. Descritta così l’attività può sembrare abbastanza semplice da mettere in pratica. Chi ha avuto la ventura di seguire un corso di formazione alla scuola Dilit starà sorridendo nel leggere questa descrizione perché in realtà è un’attività didattica molto difficile, impegnativa, che mette a dura prova l’insegnante. Sono tante le ragioni che giustificano la definizione di “difficile” per questa attività didattica. 

L’imprevedibilità delle proposte degli studenti e la necessità da parte dell’insegnante di fornire, in tempo reale, istruzioni adeguate per modificarle sono soltanto due dei tanti momenti critici da affrontare nel corso dell’attività. Ci vuole pazienza e tanta pratica.

Gli studenti ovviamente la amano. Perché “ovviamente”? Perché è un lavoro che soddisfa un desiderio per loro primario: parlare correttamente. E cosa c’è di più gratificante per chi studia una lingua straniera di riuscire a parlarla con scioltezza e senza errori, dimostrando così quanto si è simpatici, intelligenti, brillanti, colti e via dicendo?

Piccolo approfondimento.

Partiamo dall’obiettivo dell’attività. Gli studenti devono essere in grado di riprodurre il dialogo scelto dall’insegnante con la stessa correttezza e naturalezza degli italiani. Si capisce subito se il lavoro è stato svolto con accuratezza da parte dell’insegnante ed impegno da parte degli studenti: alla fine dell’esecuzione gli studenti sorridono, perché hanno sentito degli italiani che parlano, non c’era più l’aula, ma un frammento di vita reale riprodotto in tutti i suoi particolari.

SE l’ambiente dove ha luogo il dialogo è ben ‘arredato’, cioè immediatamente riconoscibile, SE i parlanti sono definiti bene nelle loro caratteristiche fisiche e psicologiche (uomo, donna, nomi, abbigliamento, umore, ecc), SE  la postura degli studenti è adeguata a ciò che comunicano (seduti, in piedi, di fronte, di schiena, ecc.), SE la relazione fra i parlanti è chiara (simpatia, antipatia, formalità, informalità, ecc), SE le ragioni che causano lo scambio comunicativo sono perfettamente comprese (lo studente deve sapere chiaramente cosa deve dire e deve trovare come dirlo), SE l’insegnante aiuta gli studenti a modificare le loro ipotesi con domande intelligenti, SE gli enunciati finali hanno pronuncia, intonazione e ritmo perfetti e la tempistica dello scambio di frasi è naturale… ecco, SE  queste condizioni vengono soddisfatte, la classe che ha assistito all’esecuzione del dialogo da parte di due colleghi chiamati a riprodurlo, non solo sorrideranno ma applaudiranno con grande convinzione.

Potrebbe anche sembrare il lavoro di un regista che deve girare la scena di un film, vero? 

Beh, non proprio, il regista ha la vita più facile, perché gli attori o parlano la sua lingua o hanno interpreti a disposizione. L’insegnante no.

Un lavoro duro, ma il risultato ripaga gli sforzi. Gli studenti nutriranno una profonda e duratura gratitudine verso chi li ha preparati a partecipare a conversazioni con italiani, usando un italiano corretto.