23 Maggio 2025
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In ogni bar del mondo c'è una bottiglia con un nome italiano: Campari.

Se la Chiesa Cattolica, esperta di miracoli, è domiciliata a Roma, in Italia, ci sarà una ragione.

In fondo anche l’Impero Romano potremmo definirlo un miracolo: un piccolo popolo di furbi contadini guerrieri che conquistano e dominano la metà del mondo conosciuto per secoli.

E non è forse un miracolo conquistare le tavole di tutto il mondo mescolando acqua e farina per servire pasta e pizza inimitabili?

E che dire di un meccanico che subito dopo la prima guerra mondiale cerca invano lavoro alla Fiat, non si scoraggia, diventa pilota e poi si inventa la Ferrari?

E il piccolo calzolaio quattordicenne che emigra in America e diventa Ferragamo?

La lista è lunga.

Un posto in questa lista dobbiamo riservarlo al signor Gaspare Campari, di professione liquorista.

Nel 1860, nel suo piccolo laboratorio di Novara, il signor Campari lavora ad una miscela di erbe, piante, frutta, trattata con alcol. Dopo varie operazioni e con l’aggiunta di un colorante rosso naturale nasce il Bitter Campari.

Nel 1862 si trasferisce a Milano dove apre il nuovo “Caffè Campari” e il successo è immediato.

Grande e fondamentale impulso per lo sviluppo dell’azienda è dovuto al figlio di Gaspare, Davide Campari, subentrato, all’inizio del 900, nella gestione della ditta dopo la morte del padre.

Davide Campari apre un nuovo locale a Milano, chiamato il “Camparino”. Questo locale, strategicamente posizionato in centro, esattamente in Galleria, ha uno stilo moderno, all’avanguardia e diventa presto il punto di incontro di esponenti dell’arte e del design.

Fra gli anni venti e gli anni trenta Davide Campari imprime all’azienda un’accelerazione del suo sviluppo che è alla base del successo planetario di oggi.

Due i cardini dell’azione di Davide Campari: creazione di un prodotto accattivante e un radicale cambiamento della promozione pubblicitaria. Famoso è il suo sodalizio con l’artista futurista Fortunato Depero, che disegnerà l’inconfondibile bottiglietta triangolare dal collo stretto.

Il “packaging”: accattivante, nuovo, ha un colore attraente, non ha etichetta, il nome è in rilievo sulla bottiglia; il messaggio: lo bevono gli artisti, offre al consumatore l’ebbrezza di appartenere ad un mondo nuovo. Campari e Depero non avevano creato un prodotto, ma un’esperienza da vivere. Non si può che definirli, con il linguaggio attuale, formidabili “influencer”.

Negli ultimi trenta anni del secolo scorso Campari cresce molto, acquisisce nuovi marchi e si posiziona tra i più grandi marchi del settore.

Nel 2003 Campari acquisisce la società che produce l’Aperol, liquore di non grande successo fino a quel momento, liquore usato come aperitivo, poco alcolico, dal caratteristico colore arancione. 

Una massiccia campagna pubblicitaria televisiva, con il supporto di un’intensa attività di social media marketing crea un fenomeno di costume che è in continua espansione. 

Nasce l’happy hour, l’aperitivo diventa un appuntamento di moda per tutti i giovani. E l’aperitivo per antonomasia diventa lo Spritz, cocktail a base di Aperol.

Il colore arancione (il colore dell’Aperol) è diventato nell’immaginario collettivo il colore del divertimento. Ordinare uno Spritz è un must. L’ape (come viene chiamato l’aperitivo a Milano) diventa un rito importante della giornata, rito a cui è fondamentale partecipare se si vuole appartenere alla categoria sociale di successo. In fondo la tv e i social hanno fatto ciò che Davide Campari e Fortunato Depero avevano fatto un secolo prima.

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