Arte: una questione di genere?✍

È stata mai organizzata un’esposizione chiamata “L’arte degli uomini”, “Come dipingono gli uomini”, o “”Edifici progettati da uomini”? No. Allora perché vengono allestite mostre dal titolo  “Donne nell’arte” (Brescia, 2022), “Donne in architettura” (Roma, 2021) o “Le Signore dell’Arte” (Milano, 2021)? Normalmente si prepara una mostra su una tematica, un’epoca, un movimento, un periodo storico… ma se viene presentata un’esposizione su “L’arte delle donne”, allora perché non una intitolata “L”arte dei pittori biondi”, o “Gli artisti alti”, o “Pittori con i baffi nell’800”? 

È evidente che la questione del genere era (ed è) importante. Se una ragazza voleva intraprendere la carriera di pittrice, non aveva le stesse possibilità che aveva un ragazzo. È innegabile. 

Mi sembra quindi giusto che sempre più spesso vengano proposte esposizioni e mostre dedicate alle artiste, per mettere in evidenza come per secoli, nonostante la loro difficoltà nell’affermarsi e nel portare avanti una carriera artistica, siano state dimenticate o, peggio, volutamente ignorate. Pur apprezzando l’intenzione di riportare alla luce le opere di artiste valide e apprezzate, viene spesso il dubbio che queste mostre possano comunque essere controproducenti: stiamo nuovamente ghettizzando l’arte “femminile”? È un genere a parte? Perché non le trattiamo come un elemento in più all’interno dello sviluppo dell’arte, con le loro caratteristiche e le loro diversità, ma seguendo un’unica linea temporale, geografica o stilistica, insieme ai loro colleghi maschi? Impieghiamo tanto tempo, parole e testi per spiegare le differenze tra pittori (maschi), perché non inserire anche opere di artiste e prenderci un po’ di quel tempo per spiegare le loro differenze e la loro particolarità? 

Ci proviamo. Prendiamo un tema ricorrente nella pittura del ‘600: la storia biblica che racconta come l’eroina ebraica Giuditta salvi il suo popolo tagliando la testa al generale babilonese Oloferne.

Tre quadri di tre artiste italiane del ‘600 che rappresentano questo tema:

Lavinia Fontana, 1600 – Fede Galizia, 1601-1610 – Artemisia Gentileschi, 1618-1619

Tutte e tre erano figlie di pittori, condizione che aiutava una ragazza ad avvicinarsi al mondo dell’arte con meno difficoltà. Fontana era di Bologna, Galizia di Milano e Gentileschi di Roma. Siamo in pieno periodo della Controriforma e la figura di Giuditta è il perfetto esempio morale della vittoria della verità cristiana sull’infedele e l’eretico. Esattamente come i loro colleghi maschi, le tre pittrici trattano un tema, allora importante e attuale, richiesto dai committenti dell’epoca. E si inseriscono perfettamente in quell’amore per la ricchezza del dettaglio e per la preziosità del particolare così tipico di quella che sarà la pittura barocca italiana: acconciature, tessuti, broccati, gioielli. Lavinia Fontana con il suo stile accademico (entrerà nell’Accademia di San Luca), Fede Galizia con il virtuosismo delle sue pennellate che rendono il vestito di Giuditta un capolavoro e Artemisia Gentileschi con il suo chiaroscuro caravaggesco e il panneggio barocco romano. Ognuna con il suo stile. C’è un particolare che le unisce: le loro eroine non sono sole, c’è una fidata serva che le accompagna, non sono eroine solitarie ma hanno una complice, con cui non hanno neanche bisogno di parlare per capirsi. Sono tutte in silenzio. Addirittura nella versione di Galizia la serva ha un dito sulle labbra, un invito a non parlare, a mantenere la segreta complicità. In Gentileschi la diagonale che va dall’orecchio alla bocca di Giuditta per arrivare all’orecchio della serva ci suggerisce il sussurro, la comunicazione a bassa voce ma potente (che taglia la testa!) tra le donne. Quindi tre artiste consapevoli e partecipi  del loro tempo, inserite nel dibattito artistico e culturale dell’epoca, che declinano, ognuna a modo suo, la pittura attraverso il loro linguaggio, fatto anche di silenzi, di gesti, di complicità femminile e di forza.

Attività

COERENZA TESTUALE

Livello intermedio

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