E-taliano

Ho trovato l’espressione “e-taliano” in un articolo di qualche anno fa, “La lingua italiana, così evolve sui social network”, scritto dalla sociolinguista Vera Gheno, dove tratta la lingua usata nei social, di cui è profonda conoscitrice, e la sua evoluzione. L’espressione non è sua, ma del linguista Giuseppe Antonelli, che l’ha ideata per indicare la lingua usata per scrivere sui social. Una lingua che è un incrocio di lingua scritta e lingua orale. Una lingua “digitata”, scritta cioè digitando sui tasti del telefonino, dell’ipad o del computer, ma che è lontana da quell’idea di lingua scritta con cui siamo cresciuti: tutti ricordiamo il compito in classe di italiano, il mitico tema, per molti una prova molto difficile, proprio perché bisognava scrivere in una lingua molto più curata di quella che si parlava quotidianamente, c’era da stare attenti all’ortografia, bisognava dare una veste, una forma comprensibile ai pensieri che disordinatamente si affollavano nella mente. Chi conosce bene il cinema italiano ha sicuramente impressa nella memoria la scena in cui Peppino De Filippo suda copiosamente per scrivere la lettera che Totò gli detta.

L’articolo di Vera Gheno offre una panoramica della lingua usata nella rete e nei vari social network, illustrandone l’evoluzione storica e le caratteristiche attuali. L’analisi è, come sua consuetudine, meticolosa, approfondita e stimolante.

Colpisce in modo particolare la parte in cui l’autrice si sofferma su alcuni tipi di messaggi, “… quelli che professano idee superficiali, o condividono notizie false, o esternano odio assolutamente fine a sé stesso, senza alcuna attenzione per il contesto e per il pubblico.” Le sue considerazioni, sul contenuto e sulla forma di questi messaggi mi hanno fatto visualizzare l’immagine di un entomologo che con grande concentrazione e freddezza esamina un brutto insetto trafitto da uno spillo. Con un linguaggio chiaro e implacabile ne evidenzia la povertà lessicale, gli errori di ortografia, l’uso disinvolto di maiuscole e punteggiatura, l’abuso di abbreviazioni e acronimi, le espressioni dialettali di moda, il turpiloquio. Si nota chiaramente la passione che anima la studiosa verso “ciò che la comunicazione in rete rappresenta e per quello che può raccontare delle persone.” Una passione che non le impedisce di dichiarare inammissibili alcuni errori, quelli che provocano l’effetto “alitosi”, cioè quando una sensazione di disgusto ci distrae immediatamente dalla comprensione del messaggio (comparazione un po’ indigesta ma efficace!). Con sintesi precisa la scrittrice rileva l’evidenza della “correlazione tra rozzezza del pensiero e della lingua usata.” E comunque Vera Gheno afferma che la nostra bella lingua gode ottima salute e ha tutti gli strumenti per potersi adattare ai cambiamenti dovuti ai nuovi strumenti di comunicazione. È ottimista riguardo alla lingua. Meno ottimista riguardo agli autori di certi messaggi presi in esame.

Conclude l’articolo ponendosi una domanda: “Saremo, come esseri umani, all’altezza della sfida cognitiva e comunicativa offerta dalle nuove forme di connessione che abbiamo creato?”. Deliziosa la risposta: “Ai post(eri) l’ardua sentenza.”

Potrebbero interessarti anche...