CIAO CARO

Lo ascoltiamo dal salumiere quando domanda “Altro cara/caro?”, dal commesso che saluta “Buongiorno cara/caro”, o dal distributore di benzina che domanda “L’acqua, l’olio, tutto a posto caro/cara?” Sembrano tutti appena usciti da un corso intensivo di marketing dove gli hanno raccomandato di rivolgersi al cliente con questo appiccicoso appellativo.

Una prima domanda: si usa “caro” perché non si conosce o non si ricorda il nome dell’interlocutore? Ma non sarebbe meglio se il salumiere, il commesso e il distributore dicessero rispettivamente “Altro?”, “Buongiorno.” E “L’acqua, l’olio, tutto a posto?” senza quell’aggettivo che cerca di creare una relazione di confidenzialità inesistente? Direi di sì.

Ma “caro” viene usato anche da chi conosce perfettamente il nome dell’interlocutore. Allora perché invece di un semplice e diretto “Ciao Giovanni” si saluta con un mieloso “Ciao caro”?  Un famoso uomo politico del passato ha detto una volta: “A pensare male degli altri si fa peccato, ma spesso si indovina”. E dunque il caro Giovanni, pensando male, potrebbe intendere l’affettuosità del saluto come il preludio alla richiesta di un favore o l’introduzione di qualche argomento che sarà per lui non gradito.

Ma lasciamo da parte la malignità. Mettiamo che chi pronunci “caro” conosca l’interlocutore e non abbia l’intenzione né di chiedere un favore né di introdurre un argomento sgradito.

Un modesto parere: “ciao caro” è giustificato soltanto in un contesto in cui l’amore o un profondo affetto legano i due interlocutori. Se questi due fattori non rientrano nella relazione delle due persone, l’aggettivo “caro” è svuotato del suo significato, si banalizza, diventa un goffo tentativo di mostrarsi gentili ed educati, di volersi (appunto goffamente) distinguere dal comune parlare, ritenendo che l’uso di quel “caro” elevi il proprio linguaggio. Ammirevole tentativo certo, ma si corre il rischio di suscitare nei casi migliori, ironie e imbarazzi, in quelli peggiori, diffidenza e fastidio.

Se nel contesto giusto stringo la mano ad un amico e con l’altra mano stringo il suo avambraccio dicendo “Ciao caro” il flusso di empatia che passa dallo sguardo dell’uno verso l’altro è intenso. Lo stesso tipo di saluto, la stessa postura fisica in un contesto sbagliato, e cioè fra persone non legate da legame affettivo reale, si crea imbarazzo e gelo.

Nel paragrafo dove, malignamente, si parla dei secondi fini che stanno alla base di un “ciao caro”, avrei dovuto aggiungere la captatio benevolentiae, cioè il tentativo di conquistare la benevolenza dell’interlocutore. Se il senso dell’espressione latina non è ancora chiaro, eccone un chiaro esempio: “Grazie per aver letto l’articolo”.

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