
Metterci la faccia è un’espressione molto usata, in questo periodo, da politici e persone che sono coinvolte in azioni e decisioni ritenute importanti. Ci metto la faccia significa mi assumo la responsabilità delle mie azioni e decisioni. La faccia, che ha come sinonimi viso e volto a seconda dei contesti, è la parte del nostro corpo che più di tutte ci distingue, ci rappresenta o vorremmo che ci rappresentasse.
Riguardo al metterci la faccia non credo che sia necessaria questa forte sottolineatura per richiamare l’attenzione sull’importanza di quello che si fa e che dovrebbe dare una definizione di noi; tutto quello che facciamo ci definisce, sempre, sia il piccolo gesto gentile sia il piccolo gesto arrogante, la nostra faccia è nell’uno come nell’altro. I fatti, meglio delle sottolineature verbali, dicono chi siamo. Ma in politica… si sa.
Se invece parliamo di come ci piace apparire il discorso diventa molto più ampio. Riccardo Falcinelli, grafico fra i più apprezzati in Italia, nel suo libro Visus Storie del volto dall’antichità al selfie ci regala un gustoso trattato di “facciologia” attraversando l’arte, la storia, la politica, la moda, la pubblicità. Nelle oltre 500 pagine debitamente corredate di immagini Falcinelli ci fa scoprire davvero molte cose, ci propone confronti e ci racconta aneddoti. Per esempio, sua madre ha preferito mettere nel suo passaporto la foto della sorella gemella identica, anziché la sua propria foto, perché così si sentiva meglio rappresentata. Quante volte non ci piacciamo in una foto e vogliamo cestinarla perché non rappresenta l’immagine che abbiamo di noi? Oppure chiediamo al professionista di fare un ritocco.
Scopro in Visus che il fotoritocco non è una pratica dei giorni nostri. E’ una novità che viene presentata nel 1855, all’Esposizione Universale di Parigi da un pittore tedesco esperto in arti grafiche che agendo sul negativo delle foto uniforma la pelle, all’epoca spesso rovinata dal vaiolo e altre malattie, corregge occhi e nasi storti, elimina occhiaie e rughe; mostra con successo “il prima e il dopo” realizzato specialmente sulle facce e include il ritocco nel prezzo della foto. Si spiega quindi il perché della pelle liscia e uniforme nelle foto più antiche che vediamo nei cimiteri.
Ma prima dell’avvento della fotografia c’era il ritratto fatto dal pittore o dallo scultore ai quali si chiedeva di apparire al meglio facendosi ritrarre con abbigliamento sontuoso, con dietro tendaggi e colonne per mostrare il proprio prestigio. Se è il prestigio che interessa. Perché a seconda di quello che vogliamo mostrare si può lavorare sulla realtà: aggiungendo o sottraendo si può abbellire, imbruttire, far apparire forti, autorevoli o incutere timore e rispetto, come in certe immagini religiose o di imperatori. Sta all’artista rendere l’effetto desiderato a seconda dei desideri del committente e delle proprie capacità. Non è cosa facile rendere una persona usando un materiale monocolore come il marmo, allora si ricorre ai “trucchi” dell’arte: enfatizzare le forme per creare chiaroscuri.
Aggiungere e sottrarre molto significa anche esagerare; si arriva così alla caricatura, che non sempre espone al ridicolo. Spesso accentuare una caratteristica rende una persona famosa, per esempio, più immediatamente riconoscibile rispetto al reale.
Caricare, deformare alcune caratteristiche diventa anche una specie di critica morale o sociale. Leggo che Bernini, sì, Gian Lorenzo Bernini, il grande scultore, autore dei maggiori capolavori del Barocco, si divertiva a disegnare caricature dei personaggi pubblici dell’epoca, ai quali magari aveva fatto il ritratto solenne in prezioso marmo. Era il 1665.
Come si vuole apparire dipende da molte cose: dall’epoca in cui si vive, perché i canoni di bellezza cambiano; dai condizionamenti culturali, dal nostro ruolo sociale; da ciò che pensiamo di essere e vorremmo che trasparisse o non trasparisse. Ci trucchiamo (qualcuno non esce di casa se non si trucca), ci pettiniamo in un certo modo, ci cambiamo il colore dei capelli, ci facciamo crescere la barba, i baffi, ci rasiamo a zero, ci facciamo tatuare…
Mai come durante il confinamento per il Covid ci siamo presentati agli altri, per lavoro o amicizia, in uno schermo che mostrava solo la nostra faccia, li abbiamo incontrati così, concentrando tutto di noi stessi in quel riquadro. Certo, qualcosa dietro di noi appariva, a dire di più, i libri negli scaffali, i quadri… quando non si metteva lo sfondo scelto fra quelli offerti dalla tecnologia. In tal caso c’era solo il nostro viso che appariva sullo schermo rinviando la nostra immagine come allo specchio, ma al contrario, a destra c’era la nostra sinistra, apparivamo come non eravamo abituati a vederci. Quanta ansia per quell’asimmetria mai vista, quelle occhiaie, quell’espressione a cui non eravamo abituati! Mica ci guardiamo allo specchio mentre lavoriamo o conversiamo con le persone, per fortuna! Ma in quel periodo abbiamo affrontato anche questo nuovo stress, obbligati a vedere anche la nostra faccia mentre interagivamo con gli altri.
Quanti di noi sono in pace con il proprio aspetto? E con la propria faccia?
Quando i cosmetici non bastano molti insoddisfatti ricorrono oggi al ritocco chirurgico, per imitare esteticamente i propri miti e per “rallentare” gli effetti del tempo che passa.
Tutto ciò risponde alle caratteristiche dell’umano. Ed è sempre difficile stabilire cosa è naturale o culturale, soprattutto nell’epoca dell’intelligenza artificiale che può creare un volto o utilizzare il nostro per diversi fini. Dobbiamo imparare a distinguere.
Mi piace concludere citando Falcinelli. “[…] quando noi umani osserviamo una scena con delle facce non ci limitiamo a scandagliare lo spazio, bensì, subito, senza concettualizzare, sappiamo che una faccia ci è simpatica, una ci risulta odiosa, con un’altra ci faremmo volentieri l’amore. Non esiste un vedere umano senza desiderio. E forse, anche per questo, mio padre ha sempre distinto bene mia madre da mia zia (le gemelle identiche, ricordate?) perché vedere non è percepire le apparenze o le forme delle cose, ma desiderare ciò che si sta guardando. E, almeno per il momento, le macchine non desiderano nulla. […]”


Attività
LESSICO, COERENZA TESTUALE
Livello intermedio
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