Ha visto la luce
Ero tornata volentieri in quel ristorante per due ragioni: offriva una buona cucina ed era stato rinnovato. Nuovi colori gradevoli alle pareti come nell’arredo, semplice e curato; ci siamo seduti e abbiamo ordinato pregustando piacevolezze. Poco dopo ho avvertito un fastidio di cui ho subito capito l’origine: la luce. Era a parete e senza nessun tipo di schermatura, mi feriva gli occhi e stonava con tutto il resto. Sembra esagerato dire che mi ha rovinato la cena, eppure è così.
Sarebbe d’accordo con me Adolfo Guzzini di cui ho letto Ho visto la luce, libro in cui è raccontata la sua storia. Adolfo Guzzini ha creato la più importante industria di Illuminotecnica in Italia e fra le tre più grandi in Europa.
Nato a Recanati, nelle Marche, ultimo di 7 fratelli, tutti industriali di successo, entra nell’azienda di famiglia, Fratelli Guzzini, a 23 anni. L’azienda punta su prodotti di “design democratico” utilizzando già dal 1938 il plexiglas, materiale più trasparente e resistente del vetro, per produrre oggetti per la cucina utili, dalle linee semplici e belle e avvicinare grandi fasce della popolazione ad una nuova estetica.
Adolfo Guzzini prima di tutto razionalizza il settore amministrativo per poi occuparsi di quello commerciale. Viste le sue precoci doti organizzative i fratelli gli offrono di rilevare una quota paritaria e diventare amministratore delegato di Harvey Creazioni, settore dell’azienda dedicato all’illuminazione, al quale collaborano designer e architetti italiani e internazionali.
Fiero della fiducia, persona determinata e caparbia, Adolfo crea una rete di agenti insieme ai quali visita i clienti, sceglie e stringe relazioni personali con quelli più adatti a vendere lampade moderne che ben si accordano al tempo della plastica, dei Beatles, della Fiat 500, della Olivetti, dell’allunaggio e della riscossa dei giovani.
La sua strategia commerciale lo porta ben presto ad avere clienti in tutta Italia, ma lui ha “fame di mondo”. Quando nel 1972 una mostra al MoMa di New York, Italy: the New Domestic Landscape, consacra il prestigio del design italiano, il mercato estero si apre e Adolfo Guzzini è pronto a buttarcisi dentro facendo da apripista per il mercato dell’Est. Il suo modo di procedere funziona particolarmente bene perché presta attenzione alle esigenze dei mercati da conquistare riuscendo a stabilire solidi rapporti personali con gli attori coinvolti: parla da amico con dipendenti, designers, agenti, clienti, amministratori delegati, ma anche con giovani fotografi, grafici e tutte le persone che come lui scommettono sul futuro e concorrono a sviluppare un’estetica basata su essenzialità, semplicità e sobrietà.
Harvey cambia nome e diventa iGuzzini Illuminazione.
Adolfo Guzzini sposta il suo interesse dall’armonia delle forme di ciò che produce all’armonia che i suoi prodotti possono diffondere nell’ambiente. Un punto luce deve produrre bellezza. Senza luce nulla esiste ed è la luce che può cambiare uno spazio, renderlo accogliente, dare risalto a un oggetto, a un angolo, ammorbidire un impatto. “Gli apparecchi di illuminotecnica sono più altruisti di lampade e lampadari: non attirano l’attenzione su di sé ma migliorano l’ambiente circostante. Nell’illuminotecnica la luce, da oggetto, si fa progetto: il design arriva a riguardare le forme impalpabili, di pura energia, proiettate dagli oggetti. L’illuminotecnica, o luce architetturale, a differenza di molte innovazioni tecnologiche, come gli orologi da polso e Internet, non nasce nell’esercito, ma in teatro. La sua culla non è la distruzione ma la creazione.”
Adolfo rimane impressionato dagli effetti dell’illuminazione visitando il grande magazzino Saks sulla Fifth Avenue di New York e lo racconta così: “Entrando l’impressione era fantastica. Usavano luci con colori complementari a quelli degli abiti sui manichini, ma tu non ti accorgevi di quel raggio colorato che li colpiva. I proiettori illuminavano il muro, la sedia su cui i manichini erano seduti, in modo che questi sfondi apparissero ipersaturi e gli abiti risaltassero per contrasto, come illuminati da dietro e dall’interno”
Adolfo comincia a produrre elementi di illuminotecnica nel 1976, l’anno dopo triplica la produzione e adegua la struttura aziendale a queste evoluzioni con i fratelli Giannunzio e Giuseppe.
Da case private e negozi di lusso passa ad illuminare città, viali, parchi.
L’idea di ‘organizzare’ la luce non era facile da diffondere in Italia perché la luce si dà per scontata, come l’aria. Si adopera quindi affinché i suoi prodotti siano facili da capire, installare, utilizzare. Capire la luce è la mostra non commerciale che l’azienda organizza nel 1981 per introdurre la cultura della luce architetturale e nei primi anni ‘90 fa campagne pubblicitarie dirompenti per richiamare all’uso corretto della luce, contro l’inquinamento luminoso.
“Fu Renzo Piano, il primo architetto di fama con cui collaborammo, a farci fare il vero salto di qualità internazionale nell’illuminotecnica” spiega Adolfo. Nel 1985 il Lingotto, vecchio stabilimento FIAT di Torino, avrebbe ospitato il Salone dell’Automobile, il Salone internazionale del libro e il Salone del Gusto. La ristrutturazione era affidata a Renzo Piano che doveva scegliere fra cinque aziende quella più capace di produrre apparecchi innovativi per l’illuminazione da lui pensata e illustrata. IGuzzini rilanciarono una soluzione tecnicamente più funzionale e su disegno dello stesso Piano nacque la lampada Lingotto. Ne sarebbero servite circa millecinquecento in sei mesi. Dopo soli dieci giorni riuscirono a presentare il prototipo lasciando di sasso Renzo Piano e collaboratori. Per rientrare nei tempi dati Adolfo bloccò tutti gli altri progetti e consegnò la fornitura nei tempi richiesti dalla Fiat. L’interazione fra iGuzzini, il più grande architetto italiano e la più grande impresa italiana diede grande prestigio all’azienda di Adolfo. IGuzzini e Renzo Piano collaborarono di nuovo nel 1999 in occasione della ristrutturazione del Beaubourg di Parigi per il quale nacquero Le Perroquet, proiettori speciali che come uccelli sono annidati nell’edificio e che oggi illuminano molti fra i più importanti musei del mondo, dal Whitney Museum di New York alla Fondazione Stavros Niarchos di Atene.
In un’intervista Piano racconta: “Lavorare con loro è stato interessante perché è stato un ping-pong continuo, durato trent’anni, forse anche un po’ di più. Con iGuzzini facevi uno schizzo, loro lo portavano via, ci lavoravano, me lo ripresentavano: ecco la rapidità del ping-pong”.
Illuminare le opere d’arte era quello che mancava a Adolfo Guzzini, dopo aver dato luce al presente voleva darla al passato. Era la sfida più difficile perché occorrevano dispositivi invisibili, su misura, da adattare a ciascuna opera d’arte. L’occasione gli si presentò nel 1998 quando, dopo anni di restauro, si doveva riaprire la Galleria Borghese a Roma. “Allora ho deciso di andare dentro a gamba tesa” dice. IGuzzini investì 850 milioni di lire per offrire gratuitamente l’impianto di illuminazione, l’installazione e la presenza di un ingegnere dell’azienda per trovare insieme all’Istituto Centrale per il Restauro la migliore soluzione, sala per sala, opera per opera. Utilizzò il Cestello nato dal disegno di Gae Aulenti e Piero Castiglioni.
Le dita della mano che affondano nella coscia, nell’opera Il Ratto di Proserpina, fanno sì che il marmo sembri carne, certamente grazie all’eccelsa bravura del Bernini, ma anche grazie alla luce speciale di iGuzzini.
Shuttle, Ufo, Open, Virgola, Lingotto, le Perroquet, Cestello, Palco, Sipario, Laser, Albero, Platea, Palo e tantissimi altri sono i prodotti di quest’azienda di Recanati che creano regie di luce per ogni esigenza. Davvero tanti, troppi da elencare sono i luoghi, gli edifici, i musei, le istituzioni che li hanno voluti perché in grado di raggiungere l’eccellenza, creare armonia, emozione e stupore. Un esempio è la perfetta illuminazione realizzata per L’ultima cena di Leonardo da Vinci a Milano.
Nella quarta di copertina del libro a cui faccio riferimento trovo una frase di Adolfo Guzzini: “Ho capito che il futuro era dell’illuminotecnica perché rendeva il mondo più bello. Ed era impossibile che con lo sviluppo e il benessere la gente non volesse il mondo più bello”.
Oggi, l’azienda ha attività produttive in oltre 20 paesi distribuiti in 5 continenti.