2 Novembre 2025
cellulare in classe

“Si nasce incendiari e si finisce pompieri” è uno stereotipo che descrive l’evoluzione di una persona che da giovane nutre grandi ideali e voglia di cambiamento, mentre in età matura il suo comportamento è privo di quell’ardore rivoluzionario giovanile e le sue azioni hanno caratteristiche segnate dal realismo e dal conformismo. Due episodi mi hanno fatto tornare in mente questo stereotipo.

Il primo.

Poco tempo fa in un articolo che trattava l’attività didattica del riassunto avevo espresso la mia opinione favorevole all’uso di tale attività nelle classi. In tal modo mi sono ritrovato in linea con le raccomandazioni del ministro della Pubblica Istruzione Valditara (rettifico: ora il ministero si chiama Ministero dell’Istruzione e del Merito). Lo stesso ministro che qualche giorno prima, riferendosi ad episodi di violenza nelle classi, si era espresso in un modo che facevano intravedere una visione autoritaria della scuola e una scuola autoritaria è molto distante da una scuola autorevole. Visione che non condivido.

Insomma, pur non essendo un estimatore del ministro prendevo atto, con sorpresa, che condividevo quella sua raccomandazione. E ha fatto capolino nella memoria lo stereotipo…

Il secondo

Fra le nuove regole della scuola ce ne sono tre che hanno dato luogo ad aspre discussioni: il divieto del telefonino sia in classe che durante la ricreazione, il voto in condotta (con il voto 5 si viene bocciati, con il 6 si viene rimandati), la memorizzazione delle poesie.

Non far entrare il telefonino in classe mi pare un’ottima idea, un tentativo lodevole per cercare di spezzare o almeno diminuire la dipendenza dei ragazzi da una continua connessione che non può che limitare e condizionare il lavoro in classe. Quello che le famiglie non riescono a fare, forse lo può fare la scuola.

Il ripristino del voto in condotta mi sembra un tentativo apprezzabile di far riflettere gli studenti (e i genitori) sulla responsabilità personale, fondamento essenziale per il rapporto sia con gli altri studenti che con i professori. Il rispetto delle persone e delle cose è uno dei valori che contribuisce alla formazione di un futuro cittadino della società civile, consapevole dei propri doveri oltre che dei propri diritti. Se il voto in condotta non diventa uno strumento punitivo, con una funzione ricattatoria per reprimere la libera espressione all’interno della scuola, può essere un argine contro la violenza e il bullismo.

Riguardo alla memorizzazione delle poesie, il mio consenso nasce da un mio personale rammarico: ai miei tempi la memorizzazione delle poesie veniva considerata un’attività assolutamente antiquata e priva di valore didattico e dunque ricordo soltanto pochissimi versi delle più celebri poesie. Un pregiudizio ideologico mi ha impedito di poter attingere agevolmente a un prezioso patrimonio letterario. Non si tratta di darsi importanza citando versi poetici a memoria, si sta parlando di disporre di un bagaglio culturale, lessicale e storico che arricchisce la persona.

Insomma, superando la vocina interna che mi ricordava il già citato stereotipo, reputo validi questi tre singoli provvedimenti. Chi vuole contestare alla riforma della scuola il carattere di elitarismo e autoritarismo può trovare molti validi argomenti per farlo: il fallimentare capitolo delle scuole professionali, i favori concessi alle scuole private, la cattiva distribuzione geografica delle risorse umane e finanziarie, la scarsa attenzione verso l’inclusività e molto altro. Ma la critica deve saper distinguere, perché, come dice un famoso detto ultimamente ripreso dal giornalista Massimo Giannini, “…nell’arco delle ventiquattro ore anche un orologio fermo azzecca due volte l’ora esatta.”