Parlare un’altra lingua

Perché voler studiare, parlare, capire, leggere e forse scrivere in un’altra lingua? Le ragioni possono essere molte. Per necessità di studio o di lavoro? Per andare in vacanza? Per amore? Per trasferirsi in quel paese? Per occupare il tempo? Per tenere in esercizio il cervello? Perché ci piace la cultura di quel paese e vogliamo avvicinarla attraverso le relazioni, la letteratura, il cinema? Per il puro piacere di imparare una bella lingua? Queste sono le motivazioni più comuni. Poi ce ne sono altre più complesse e non così facili da raccontare. C’è chi lascia il proprio paese per situazioni invivibili, per il fisico, per la mente o per entrambi, e allora ha bisogno di voltare pagina, cambiare vita e trovare una lingua con cui parlare d’altro: nuova lingua, nuova vita. Ma anche per soffrire di meno raccontando episodi della vecchia vita, perché farlo nella lingua materna sarebbe estremamente più duro. 

Nel libro “La gelosia delle lingue” di Adriàn N. Bravi ho letto di persone che hanno potuto raccontare fatti della loro vita solo nella nuova lingua e di chi, raccontandoli nell’una e nell’altra, solo in quella materna non ha potuto trattenere le lacrime. Una nuova lingua, quindi, anche come scudo di difesa. Anche se quella materna permette ai più di rivivere i momenti più felici della propria infanzia.

La lingua materna è costitutiva del nostro essere, è quella attraverso la quale abbiamo conosciuto il mondo e ci siamo formati, con la quale abbiamo dato nomi alle cose e alla realtà intorno a noi. Alla nascita siamo predisposti per imparare tutte le lingue del mondo, ma per appartenenza ad un luogo, impariamo la lingua del luogo dove viviamo. Ed è quella che ci può fornire la struttura di appoggio e contemporaneamente di impedimento nell’apprendere un’altra lingua. Sta a noi diventarne consapevoli e usarla a nostro vantaggio. 

Qualunque sia la motivazione che ci spinge, imparare a parlare un’altra lingua significa aprire la mente verso un altro mondo e cercare di abitarlo.

Un mio studente di fronte ad una nuova costruzione grammaticale o parola italiana (era agli inizi del mio lavoro di insegnante, non ricordo bene) scoppiò in una grassa risata dicendo “It doesn’t make sense!” e accompagnando il commento con il tipico gesto della mano di chi vuole scacciare una mosca che gli gira intorno (la reazione, invece, difficile dimenticarla). Per lui tutto quello che si discostava dalla sua lingua non aveva senso. Infatti tante ore di lezione non sono servite a molto, purtroppo, proprio per questo suo atteggiamento di chiusura, di rifiuto di ciò che è diverso, o nuovo. 

Una lingua può avere molto in comune con un’altra o può essere molto diversa o completamente differente, perché rappresenta altre geografie, altri modi di pensare, altri modi di vivere, altra cultura, ed è questo il fascino.

Abitare la lingua è un’espressione che mi piace molto perché descrive esattamente quello che provo a fare quando studio un nuovo idioma. Anche conoscendo solo pochi elementi, dalle prime lezioni o dai libri come autodidatta, subito immagino situazioni in cui usarli, subito sono una parlante che sta cercando di comunicare con un nativo. Mi figuro interazioni e cerco fra le mie conoscenze, seppur elementari, le parole per riuscire a comunicare quello che, di volta in volta, ho in mente. Soprattutto se non vivo nel paese di cui sto imparando la lingua e non è facile trovare interlocutori, questo esercizio di fantasia mi è molto utile. Mi rendo conto subito delle cose che posso dire e soprattutto delle parole che mi mancano e che mi vado a cercare appena posso. Cerco così di abitare la lingua, leggendo testi per lettori madrelingua e guardando serie tv per cercare di capirla quando un nativo la parla. Non la lascio fuori di me, nel libro di grammatica, nella voce dell’insegnante; la cerco e voglio entrarci dentro. Penso che il segreto sia usare la fantasia ed essere contenti ogni volta di quello che si riesce a dire e a capire. Andando avanti sarà sempre meglio.

E chi ha la fortuna di vivere nel paese della lingua oggetto di studio, o meta scelta, non si tiri indietro di fronte alle opportunità che il contesto offre, approfitti della libertà di non essere un madrelingua. Non abbia paura di non avere gli strumenti per mostrare la propria identità, perché questa cambia sempre un po’ ad ogni grande esperienza che facciamo. Provando a parlare un’altra lingua, abitandola, la lingua stessa abiterà i nostri pensieri e saremo un po’ diversi. Saremo sicuramente persone più dotate, perché capaci di altri pensieri. Secondo Adriàn N. Bravi, argentino, autore del libro menzionato sopra, che ha vissuto l’esperienza di cambiare paese e lingua, e che dopo il suo primo romanzo in spagnolo scrive i suoi libri in italiano, “Ogni esperienza che facciamo con la lingua, sia essa straniera o propria, presuppone una rinascita e un punto di non ritorno. Non parliamo questa o quella lingua, ma siamo in questa o quella lingua. Si vede, si osserva, si ascolta e si ama attraverso una lingua (che è lo sguardo e l’essere che siamo)”.

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