Agli italiani piace il gusto amaro
Solo quando qualcuno te lo fa notare dici “È vero! È proprio così!”. Ma, in quanto italiana, lo sapevo, solo non ci avevo mai pensato.
È grazie al libro “AMARO un gusto italiano” di Massimo Montanari, docente di Storia dell’alimentazione all’università di Bologna, che si fa mente locale e attraverso un bel percorso storico si arriva a confermarlo. Nei gusti e nelle abitudini alimentari degli italiani l’amaro ha un posto privilegiato.
Si comincia la giornata con un caffè che non pochi prendono senza zucchero per assaporarne pienamente il gusto. Chi non può prendere il caffè ha l’orzo, cui la tostatura rende il giusto amaro. La grandissima varietà di verdure e ortaggi che trovano terreno fertile in Italia, anche se non autoctoni, tutti amari, sono alla base di piatti gustosi e non sostituibili per il palato italiano. Cicorie, carciofi, melanzane, radicchi, rape, broccoli, indivie, cardi, sedani, cavoli, cavolfiori, rucola, scarola, asparagi, capperi, cetrioli, le amarissime olive, compongono insalate, contorni per carni e pesci, abbinamenti con formaggi, condimenti per il piatto nazionale italiano, cioè la pasta asciutta. Non dimentichiamo agli e cipolle. Fra i legumi abbiamo cicerchia, fave e lupini. Questi ultimi, debitamente trattati e salati, erano il cartoccio che si sgranocchiava al cinema prima che arrivassero i popcorn. Anche le erbe aromatiche insaporiscono ed esaltano i cibi con il loro gusto amaro: rosmarino, salvia, timo, alloro, ginepro… Per non parlare degli agrumi con cui prepariamo bevande amarognole che sembrano spegnere meglio la sete. Fra tutte mi piace ricordare il chinotto, alla base di una bevanda con lo stesso nome, amatissima prima che diventasse di moda la Coca-Cola e che ora torna a deliziare l’estate dei più affezionati a quel gusto antico e moderno al tempo stesso. Che cosa si beve, infine, dopo un abbondante pasto se non un ‘amaro’? Liquore a base di erbe e aromi a cui si attribuisce un’azione digestiva. Ma si dice che il gusto amaro può preparare lo stomaco a ricevere cibo e quindi gli amari, debitamente mescolati, sono molto apprezzati anche come aperitivo. Se poi il palato vuole qualcosa di più gentile ecco che si chiede l’Amaretto, un liquore il cui nome diminutivo e affettuoso ne indica il sapore attenuato come anche designa un pasticcino tradizionale (ma anche un po’ amaro, quindi amaretto) alle mandorle che trova diverse declinazioni nelle varie cucine regionali. Birra e vino completano (?) la lista delle cose amare soprattutto quando uno dei vini italiani più apprezzati si chiama Amarone. Anche il miele in Italia volge all’amaro se si portano le api sul polline di corbezzolo.
Certo, non sono solo gli italiani ad apprezzare il gusto amaro, ma si può dire che questa predilezione è un tratto tipico e affascinante della nostra cultura che non trova pari nel contesto europeo e mediterraneo. È frutto della storia e della cultura italiana, come risultato della capacità di fondere la tradizione popolare e contadina che ha sviluppato saperi relativi al lavoro nei campi e negli orti, relativi alla necessità di sfruttare e mangiare con sapienti preparazioni erbe selvatiche che la natura offriva, con le abitudini alimentari dei nobili, dei ricchi, dei signori. I cuochi delle corti si adoperavano per impreziosire piatti della cultura popolare magari aggiungendo uno o qualche ingrediente per nobilitarli e renderli degni del rango del destinatario. Anche se la separazione fra le due culture, rustica e nobile, si è protratta nel tempo creando modi di dire come “Al contadino non far sapere quanto è buono il formaggio con le pere” tutt’oggi l’alta cucina italiana non fa che partire dalle ricette tradizionali povere e mettere in atto strategie e accorgimenti per portarle nel mondo del lusso, per rendere “dolce” l’amato gusto amaro.