“C’è ancora domani”, un gioiello del cinema italiano

Sono andata al cinema per vedere questo film. Ci sono andata perché sapevo che parlava di donne di cui nessuno ha mai parlato. Ci sono andata perché è la prima opera da regista di Paola Cortellesi che è… scusate, ma non so da dove cominciare, perché la mia ammirazione per questa persona è grande e perché l’aggettivo grande va messo accanto ad ogni sua definizione: donna, attrice, cantante, conduttrice televisiva, ora anche regista. Ma una persona che fa così bene e con semplicità ogni cosa in cui si misura è anche una che vorresti come amica, una con cui parlare di cose fatali e futili, cioè di tutto. 

Sono andata al cinema perché fra le ragioni dichiarate di questo film c’era la necessità di ringraziare tutte le donne che, come Delia, la protagonista (Paola Cortellesi ne è anche l’interprete), in passato hanno dovuto sopportare molto, a volte troppo, ma hanno mantenuto dritta la barra dei loro pensieri migliori. Non si sono fatte corrompere dalla violenza maschilista, non si sono fatte contagiare dalla meschinità del pensiero comune che riteneva “normale” la mancanza di rispetto verso chi si faceva carico della “cura dovuta” alle persone e alle cose.

Mentre guardi alcune scene e ti monta dentro l’odio per la violenza, ti sorprende l’incredibile escamotage che la regista trova per cercare di attenuarlo: per farti meno male ti innesca lo stupore. 

Delia fa anche tre lavori diversi per aiutare la famiglia, nonostante ciò non riesce ad avere neanche il rispetto della figlia che la considera debole in quanto non reagisce alle umiliazioni a cui il marito la sottopone.

Ambientato nel 1946, non poteva che essere in bianco e nero e il quartiere popolare romano Testaccio era il luogo migliore per inserire una famiglia come tante a quell’epoca. Registrato sotto il genere Commedia questo film regala poesia, comicità, complicità, sorprese, commozione, suspence e un finale inaspettato. In nemmeno un mese di programmazione è campione di incassi superando altri buoni film italiani e avvicinandosi a cifre realizzate dalle più seguite produzioni straniere. Successo assolutamente meritato perché è un gioiello di film.

S’insinua un pensiero che non è del tutto immotivato. Quante o quanti vanno a vederlo perché possono ritrovarsi e sentirsi raccontati? Mio marito mi riferisce di aver sentito parlare del film due amiche che erano dietro di lui in una via molto popolare; l’una diceva all’altra: “Devi andare a vederlo, sembra che racconti la famiglia tua!” (traduco dal dialetto romano, con il possessivo che segue il nome invece di precederlo). Quanto e in quanti paesi è maledettamente attuale, ancora oggi, ciò che pensavamo di aver superato? Quanta violenza, anche non necessariamente fisica, attanaglia le famiglie? Quanta sottomissione e quanta inconsapevolezza? Quanta voglia di autodeterminazione accantonata?

Un altro motivo che spinge ad andare a vederlo è il titolo. C’è ancora domani ti dice che c’è ancora tempo per fare qualcosa, c’è ancora speranza, possiamo fare di meglio, ci può essere un futuro migliore. Non a caso Paola Cortellesi ha dedicato il film a sua figlia. 

“Il mio è un film contemporaneo ambientato nel passato: un omaggio ai racconti di mia nonna, che nel suo cortile romano raccoglieva gli sfoghi rassegnati di molte donne maltrattate dai mariti padroni. Voglio che mia figlia sappia da dove siamo partite e dove dobbiamo arrivare. Desidero che impari a non dare mai nulla per scontato. Le nostre conquiste sono costate lacrime e sangue. Non bisogna abbassare la guardia».”

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