
Se fatta ad una scrittrice non italiana la domanda ha un senso. “Perché scrive in italiano?”
“Per amore.” è la risposta immediata, spontanea e vera. Allora uno si fa subito il film neanche troppo originale di un incontro con una persona italiana che l’affascina e le cambia la vita, e la lingua. Ma si dà il caso che la scrittrice sia già felicemente sposata con un uomo non italiano e abbia già due figli. E che la sua conoscenza dell’italiano, già cominciata, le richieda una sempre più approfondita relazione. La lettura anche in lingua originale di autori e autrici italiani, attraverso i quali oltre alla lingua scopre altro di sé, la portano ad una decisione: si trasferirà in Italia con tutta la famiglia. Roma l’accoglie nel rione Trastevere, fra i più rappresentativi e amati; le si offre con la sua gente, i suoi vicoli, le piazze piccole e grandi, i monumenti, i palazzi, le chiese. E il cielo. La scrittrice scopre il cielo di Roma che è diverso dal cielo conosciuto “parziale, trattenuto, a cui manca il respiro”. Quello di Roma è un cielo “immenso” che le permette di vedere l’alba e il tramonto e che lei fotografa centinaia di volte in tutti i suoi cambiamenti d’umore e colore.
E uno pensa, be’ sì, tutto questo denota amore. Ma bisogna ‘seguire’ la scrittrice per scovare altre e più intriganti motivazioni per imparare, approfondire e scrivere in una lingua che non è la propria. Lei stessa, provando a spiegarsi questa attrazione per l’italiano, nel corso del tempo cerca metafore per dare risposte alla domanda.
Le trova leggendo due autrici italiane, molto diverse fra loro, Lalla Romano e Elena Ferrante. La prima non più vivente, la seconda non si sa chi sia nonostante la fama internazionale raggiunta. In Le metamorfosi di Lalla Romano legge di un sogno in cui l’autrice si trova davanti ad una porta che sta per chiudersi, ma correndo riesce ad infilarsi nel poco spazio e passa. Superata la prova, si trova davanti ad un’altra porta nella medesima condizione; riesce a passare, ma le porte che stanno per chiudersi si susseguono una dopo l’altra. Potrà sempre passare, ma ci sarà sempre un’altra porta. Per la scrittrice è la perfetta descrizione del suo percorso dove, superata una barriera, subito se ne presenta un’altra. Infatti scrive: “Affrontare una lingua straniera da adulta non è una passeggiata. Eppure, tutte le porte che ho dovuto aprire in italiano si sono spalancate su una veduta ampia, splendida, profonda. Non è che la mia conoscenza dell’italiano mi abbia semplicemente cambiato la vita. Mi ha regalato una seconda vita, una vita in più”. La conoscenza sempre più profonda dell’italiano le apre altre porte: diventa traduttrice.
Leggendo La figlia oscura di Elena Ferrante, sottolinea una parola, innesto, che risuona nella sua interiorità e oltre a definire la sua crescita personale e professionale le permette di offrire a noi lettori del suo ultimo libro “Perché l’italiano?” pensieri inediti legati a questo termine. Innesto è una parola che si usa in botanica per descrivere un’operazione che consiste nell’inserire in una pianta una parte di un’altra pianta, per ottenere una nuova varietà, o una qualità più pregiata dei suoi frutti. In medicina è un trapianto, che può migliorare o salvare una vita. Quindi la parola implica un taglio, uno spostamento, un inserimento, una fusione.

Jhumpa Lahiri, è questo il nome della scrittrice, è nata a Londra da genitori bengalesi, cresciuta negli Stati Uniti, si è trasferita a Roma nel 2012. Ora vive tra Roma e New York. La sua formazione, le sue “metamorfosi” sono il risultato di innesti: geografie, culture e lingue diverse le forniscono nuova linfa, “nuovi occhi”, per vedere le cose da altri punti di vista. Una nuova lingua è qualcosa che “… entra comunque dentro di noi. Si radica nel cervello, esce dalla bocca. Col tempo si annida nel cuore. L’innesto che ho fatto mette in circolo un nuovo idioma, nuovi pensieri dentro di me”.
Non nasconde, Jhumpa Lahiri, che nella prima fase l’innesto prevede fragilità, incertezza, rischio, ma bisogna avere pazienza e fiducia.
Come in natura non si può ottenere un buon raccolto se si coltiva la stessa cosa sempre nello stesso terreno ormai troppo sfruttato, così una persona, un Paese, una lingua non migliorano se non si nutrono attraverso nuovi contatti, nuove fusioni. Lo sforzo iniziale per capire ciò che è nuovo e diverso è poi ampiamente ripagato da un’accresciuta capacità di affrontare le sfide che ogni evoluzione comporta, capacità di aprire le porte, per rimanere nella metafora, capacità di adottare una lingua, quella italiana, per creare.
“Questa lingua mi ha chiamata, accolta e ispirata come nessun’altra”.


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