8 Febbraio 2025
joanna-kosinska-B6yDtYs2IgY-unsplash (1)
Raccogliere diari di gente comune e di creare l’Archivio Diaristico Nazionale era stata l’idea geniale di Saverio Tutino, grande giornalista, inviato speciale e scrittore.

Il 22 novembre del 1984 uscì sul giornale La Repubblica il seguente trafiletto:
Avete un diario nel cassetto? Non lasciate che vada in pasto ai topi del Duemila. Garantito contro usi impropri, con diritto a partecipare ogni anno a un premio di due milioni e al concorso per la pubblicazione, la memoria personale o l’epistolario familiare che sarà consegnato all’Archivio di Pieve Santo Stefano (AR) passerà alla storia. Sarà una delle mille pietre di una costruzione nuova per gli studiosi di domani: la banca dei diari. Speditelo dunque all’Archivio Diari, Biblioteca Comunale, Pieve Santo Stefano (Arezzo) 52036.” A prima vista poteva sembrare una delle solite notizie che riguardano premi letterari o qualcosa di simile. Il trafiletto però finiva con la lista delle persone che costituivano la giuria che avrebbe esaminato i testi inviati. E qui la cosa diventava interessante, perché apparivano nomi altisonanti di scrittori, intellettuali e giornalisti. Un nome per avere un’idea: Natalia Ginzburg.

Raccogliere diari di gente comune e di creare l’Archivio Diaristico Nazionale era stata l’idea geniale di Saverio Tutino, grande giornalista, inviato speciale e scrittore. Nato nel 1923, aveva partecipato alla guerra come giovanissimo comandante fra i partigiani della resistenza al regime nazifascista. Subito dopo la guerra cominciò la sua carriera giornalistica, diventando presto uno dei più affermati inviati speciali, in Sudamerica (in particolare a Cuba) e fu tra i fondatori del giornale “La Repubblica”.

Seguendo l’esempio dei genitori e di suo fratello, Tutino aveva sempre tenuto un diario dove annotava giornalmente quanto osservava in giro per il mondo. Gran parte dunque della sua vita l’aveva dedicata a raccontare eventi epocali e personaggi famosi, dalla Cuba di Fidel Castro alla Cina di Mao, non solo su giornali e riviste, ma anche nei suoi diari personali. 

Uno degli aspetti della personalità di Tutino era la sua inquietudine interiore. Decise, ormai sessantenne, di dedicare l’ultima parte della sua vita a raccogliere le memorie delle persone comuni, quelli che, come lui diceva, “non hanno voce in capitolo”.  Decise insomma di spostare la sua attenzione dalle vicende delle masse, delle rivoluzioni, dei grandi personaggi alle vicende personali di gente comune. Insomma non occuparsi più di Storia, con la esse maiuscola, ma di storie della vita di persone per niente famose, quelle che non appaiono sui libri. E le storie raccolte dovevano essere scritte da quelle stesse persone nei loro diari personali.

Pieve Santo Stefano, il piccolo borgo di tremila abitanti che Tutino scelse per dare ospitalità a questa preziosa memoria storica, è diventata la città del Diario. Ci informa Wikipedia: “L’Archivio Diaristico Nazionale (ADN) di Pieve Santo Stefano è un archivio pubblico che raccoglie documenti cartacei italiani in forma diaristica, epistolare e memorialistica autobiografica.”

L’Archivio ospita migliaia di diari ed ha ormai una dimensione e una struttura che farebbe inorgoglire Tutino, il fondatore. Per avere un’idea del lavoro necessario per portare avanti tutte le attività del museo ecco una dichiarazione di una responsabile: “I volontari dell’Archivio si occupano di tutto: leggono diari, li trascrivono, li schedano, li digitalizzano, incontrano le persone che vengono a consegnarli, fanno visite guidate al museo, allestiscono gli eventi, organizzano, gestiscono i social, il sito internet, la newsletter, fanno editing di libri, fundraising, progettazione, si occupano di traduzioni, di pubbliche relazioni, scrivono articoli, fanno fotografie, curano mostre e installazioni, coordinano incontri pubblici, fanno letture ad alta voce, gestiscono laboratori autobiografici e molto altro.”

I racconti contenuti nei diari che il museo custodisce sono stati e continuano a essere una fonte molto originale a cui attingono le case editrici, che hanno trasformato alcune storie personali in romanzi venduti a migliaia di copie. Fra le operazioni editoriali più famose c’è quella di Clelia Marchi, una contadina semianalfabeta, che rimasta vedova a circa 60 anni, decide di raccontare la storia della sua esistenza scrivendo con un pennarello su un lenzuolo a due piazze. Una sua dichiarazione: «Le lenzuola non le posso più consumare col marito e allora ho pensato di adoperarle per scrivere».  La signora non si è preoccupata dello stile e della correttezza del suo italiano, ma ha seguito una sola regola, che è diventata il titolo del libro: “Gnanca na busia” (Neanche una bugia).

Nel museo c’è un’intera stanza dedicata al lenzuolo di Clelia Marchi.

Il Piccolo museo del diario di Pieve Santo Stefano - Foto di Piccolo museo  del diario, Pieve Santo Stefano - Tripadvisor

https://i0.wp.com/www.nerdpool.it/wp-content/uploads/2024/04/gnanca.jpg?resize=696%2C471&ssl=1