Hai mangiato?
Ho una figlia che vive a Madrid e un figlio ad Oslo. Quando su Skype rivolgo loro la domanda “Hai mangiato?” i miei figli sanno che la vera domanda è “Hai già mangiato o devi ancora mangiare?” La mia è una domanda legittima: può succedere che lei, a Madrid, abbia appena finito di pranzare e lui, a Oslo, stia per cenare.
La differenza degli orari di pranzo e cena fra nord Europa e sud Europa è davvero rilevante, soprattutto per quanto riguarda la cena. Può dunque succedere che a Oslo si ceni alle 17.00 mentre a Madrid a quell’ora ci sono persone che stanno finendo di pranzare.
In Italia le differenze fra nord e sud esistono, anche se non in modo così marcato. Da nord a sud, a seconda delle regioni, gli orari di pranzo e cena variano rispettivamente dalle 12.30 alle 14.00 e dalle 19.30 alle 21.30 .
Gli orari dei pasti sono così radicati nella nostra quotidianità che ci sembrano del tutto naturali.
Abbiamo la percezione che la scansione dei tre pasti giornalieri, la colazione la mattina, il pranzo a metà giornata e la cena a fine giornata, faccia parte del nostro corredo genetico, il nostro DNA.
Gli storici ci spiegano invece che questo schema della nostra alimentazione è cosa abbastanza recente, diciamo a partire dal ‘900.
Nei secoli ‘700 e ‘800 gli orari dei pasti dei ricchi, degli aristocratici e il resto della popolazione erano molto diversi. I ricchi e gli aristocratici non avevano impegni e orari di lavoro da rispettare e dunque passavano il loro tempo, in particolar modo le sere e le loro notti, divertendosi. Ovviamente si svegliavano tardi e questo lentamente provocò uno slittamento degli orari dei pasti. Pranzare nel tardo pomeriggio, il più tardi possibile, era diventato un segno di grande prestigio. Il resto della popolazione mangiava ad orari più simili a quelli attuali. Nel ‘900 i grandi cambiamenti sociali e gli orari di lavoro delle grandi masse di lavoratori hanno lentamente, ma inesorabilmente uniformato la scansione dei pasti del giorno, almeno nel mondo occidentale.
È dunque la società, la cultura che definisce gli orari dei nostri pasti, non la natura.
Prendiamo qualche esempio di moda in Italia. Cominciamo dal brunch. Questa parola viene considerata una “parola macedonia” (tanto per restare in argomento), la fusione di breakfast e lunch. Si tratta di un pasto consumato in tarda mattinata, di solito la domenica. È un’abitudine importata dagli Stati Uniti. È molto trendy organizzare un ricco buffet e parteciparvi, ci si sente molto cool ed è impegnativo scegliere il giusto outfit. Dopo questa immersione nell’esotismo anglosassone mi viene in mente mio suocero: un falegname che faceva colazione alle 5 del mattino, cominciava a lavorare nel suo laboratorio sotto casa e alle 10 saliva in cucina per prepararsi due uova al tegamino. Faceva il brunch tutti i giorni senza saperlo.
Un’altra parola macedonia: l’apericena, fusione di aperitivo e cena. Già alcune descrizioni che vengono usate spesso per spingere alla consumazione suscitano in me una naturale avversione (gli stuzzichini…), ma è proprio la parola “apericena” che trovo epidermicamente orrenda. Per timore di apparire eccessivamente snob, sono andato a guardare cosa ne pensa l’Accademia della Crusca. Ecco cosa ho trovato riguardo all’apericena: “tic lessicale”, “parola mefitica”, “termine orrendo”, nonché “una delle parole più detestate”. E se non basta riporto le parole pronunciate da un famoso linguista, Giuseppe Antonelli: “… a dar fastidio oggi non è tanto l’apericena in sé, quanto tutta la famiglia di parole che è nata dalla costola dell’apericena […] aperisushi, aperisfizio, aperimerenda, aperifritto…fino agli aperimiao per i gatti e agli aperibau per i cani”. Su questa parola dunque possiamo in tutta tranquillità collocare una pesante pietra tombale. E alla famosa frase del regista Nanni Moretti “Chi parla male, pensa male e vive male”, io aggiungerei anche “mangia male”.