
Sì sì, lo so che con l’espressione latina Homo sapiens che indica la specie intelligente fra i nostri antenati umani si intende includere anche la donna. Però Homo si traduce con uomo e sapiens si traduce con sapiente, che sa, che è intelligente, e questo maschile universale di fatto nasconde, o vela, ahimè non solo linguisticamente, la sapienza femminile.
Sono i condizionamenti culturali, infatti, ad avere la maggiore responsabilità nel non riconoscere al genere femminile ciò che invece deve essergli riconosciuto.
Prima delle moderne tecnologie i reperti archeologici venivano letti e interpretati così: poiché nel corredo di sepoltura di questa persona ci sono strumenti per la caccia è sicuramente un uomo. Oggi invece sappiamo che quei resti erano di una donna. Con esami tecnologici accurati possiamo capire dai suoi resti se la persona sepolta in quel luogo era nata lì o aveva sempre vissuto lì. Allora scopriamo che nel sud della Germania, nell’Età del Bronzo, erano principalmente le donne a muoversi per creare e mantenere contatti e alleanze.
Nei musei oggi troviamo punte di frecce e strumenti vari di cui l’uomo si serviva per cacciare o costruire, non troviamo i piatti che le donne sapevano preparare con gli animali cacciati, per ovvie ragioni, né si può esporre l’arte della manutenzione, del mantenimento, della cura che le donne praticavano contribuendo non meno degli uomini allo sviluppo dell’umanità. Inoltre chi ci assicura che un manufatto in pietra, metallo o ceramica non possa essere opera femminile? O che non lo siano alcuni esempi di arte rupestre? E non vi sembra che ci siano anche (o solo?) mani femminili nella Grotta delle Mani di circa 9000 anni fa scoperta in Argentina?
Ma il racconto che si fa è che tecnica e tecnologia sono due parole che sottintendono capacità maschili. Non perché fosse evidente la maggiore attitudine degli uomini in questo settore, bensì per condizionamento culturale. Quando ero alunna di scuola media, cioè dai 12 ai 14 anni, mio fratello aveva l’ora di “applicazioni tecniche” durante la quale con seghetto per traforo, legno compensato e altri arnesi ha avuto l’opportunità di costruire un modello in scala ridotta della nave Amerigo Vespucci; io avevo l’ora di “economia domestica” cucito, lavoro a maglia, uncinetto con cui ho fatto una sciarpa che neanche mi piaceva. Non era contemplato che si potesse scegliere cosa fare. Se sei femmina, economia domestica, se sei maschio, applicazioni tecniche. Come si fa a stabilire chi è più bravo in cosa?
La stessa esperienza l’ha vissuta Elena Cattaneo scienziata italiana, nonché senatrice a vita, che nel suo libro “Scienziate” racconta di dieci ricercatrici, in realtà undici con lei e la sua altrettanto appassionante ricerca, che hanno raggiunto livelli altissimi nel campo delle scienze. Sicuramente hanno aperto loro la strada Rita Levi Montalcini, premio Nobel per la medicina nel 1986; Margherita Hack, astrofisica, prima donna a dirigere l’Osservatorio Astronomico di Trieste e il Dipartimento di Astronomia dell’Università di Trieste; Amalia Ercoli Finzi, prima italiana a laurearsi in ingegneria aeronautica nel 1962, oggi ingegnera aerospaziale e consulente scientifica per la NASA e per le Agenzie Spaziali Italiana ed Europea; Fabiola Gianotti, fisica, dal 2016 direttrice generale del CERN, l’Organizzazione Europea per la Ricerca Nucleare. Il suo primato è doppio, in quanto prima donna alla direzione del più grande laboratorio al mondo di fisica delle particelle e prima ad essere riconfermata per un secondo mandato.
Donne straordinarie in quanto sono riuscite a superare le discriminazioni di genere e perché hanno anche fatto “altro” nella vita. Margherita Hack, per esempio, si distingueva nella pallacanestro ed è stata campionessa di salto in alto e salto in lungo nei campionati universitari. Fabiola Gianotti è diplomata in pianoforte e sembra che sia un’ottima ballerina, quando non cerca il Bosone di Higgs.
Straordinarie e al contempo donne comuni che hanno curiosità a cui vogliono trovare risposte e capacità di andare oltre i pensieri già pensati, o come dice Elena Cattaneo di “togliere le cornici ai pensieri” come quelle di cui racconta ricerca e successi nel suo libro.
Racconta di Mariafelicia De Laurentis, astrofisica, unica donna del gruppo di ricerca che per primo in assoluto ha mostrato al mondo, nel 2019, l’immagine di un buco nero; di Costanza Miliani, chimica che ha reso possibile la realizzazione del MOLAB, insieme di strumentazioni mobili che permettono di analizzare le opere d’arte nei loro siti, senza spostarle e con metodi non invasivi; di Giovanna Durante, ingegnera sismica che studia come mitigare il rischio dei terremoti e salvare vite umane. Il metodo Durante è stato applicato per costruire in modo antisismico lo stadio dei Clippers a Los Angeles; Vincenza Colonna, genetista che legge il DNA e lavora per rendere possibile una medicina personalizzata. Nel libro ci parla dell’emozione di unire il suo lavoro a quello di centinaia di ricercatori in diverse parti del mondo che collaborano a un progetto comune. È lei, inoltre, che vuole raccontarci di Mary Anning, la prima paleontologa in assoluto, prima che Darwin elaborasse la sua teoria dell’evoluzione. Mary, britannica, nata nel 1799, faceva parte di una famiglia povera, e aiutava il padre a trovare fossili da vendere ai turisti. Aveva 12 anni quando dissotterra un ittiosauro, un grande rettile marino estinto. Nessuno aveva mai visto una cosa del genere. Mary si appassiona, diventa una vera ricercatrice, studia anatomia e geologia da autodidatta, disegna gli scheletri che trova e li confronta con quelli degli animali del suo tempo. I suoi reperti e i suoi studi sono al Natural History Museum di Londra e tutti gli studiosi contemporanei si basano sulle sue scoperte. È un grande invito a credere nelle proprie possibilità e continuare con passione a percorrere la propria strada anche quando il contributo alla conoscenza rimane nell’ombra, come è successo a Mary Anning nel corso della sua vita. Il problema, neanche a dirlo, è che era una donna.
Però è proprio una donna che riesce a rappresentare al meglio, dopo un secolo di tentativi, lo spazio iperbolico. Tranquilli, anche io ho scoperto che esisteva lo spazio iperbolico solo leggendo la storia della matematica lettone Daina Taimina, raccontata nel libro “Invisibili” di Caroline Criado Perez. Oltre allo spazio piatto di Euclide, e a quello sferico, nel XIX secolo si scopre quello iperbolico. “Un piano iperbolico è una superficie in cui lo spazio si curva allontanandosi da sé stesso a ogni punto.” Un’idea possiamo averla pensando alle foglie di lattuga riccia o ai coralli, solo due esempi fra i più semplici. La geometria iperbolica serve agli statistici, ai designer per l’aerodinamica dei veicoli, agli ingegneri acustici che progettano sale da concerto, è importante in medicina per capire come si sviluppano alcune cellule cancerogene e trova innumerevoli applicazioni che per non dilungarmi non riferisco.
Era il 1997 quando Daina Taimina partecipa a un laboratorio di geometria alla Cornell University dove il professore stava cercando di costruire un piano iperbolico con strisce di carta e nastro adesivo. Per lei il risultato era assolutamente mediocre ed è in quel momento che le viene in mente di rappresentarlo facendo qualcosa che lei sapeva fare molto bene, cioè lavorare all’uncinetto. Trascorre tutta l’estate preparando un corredo didattico di oggetti iperbolici e quando un professore che da anni insegnava gli spazi iperbolici vede i suoi modelli esclama: “Ah, quindi è così che sono fatti!” Oggi le sue creazioni all’uncinetto sono fondamentali per spiegare il concetto. Aggiungo solo che molti straordinari manufatti di Daina Taimina sono stati esposti, come opere d’arte, in varie parti del mondo.
Potrei andare avanti per molto, ma gli esempi che qui riporto, senza porre confini territoriali perché la conoscenza non deve averne, sono sufficientemente significativi.
Se si desse l’opportunità all’altro cinquanta per cento dell’umanità di contribuire a produrre conoscenza, sicuramente non si perderebbero idee che possono essere la soluzione a molti problemi insoluti e che potrebbero davvero cambiare il mondo in meglio.