Claudio Abbado, il Maestro: “Chiamatemi Claudio”✍
Il 20 gennaio del 2014 moriva il direttore d’orchestra Claudio Abbado.
Papà violinista e insegnante al Conservatorio, la mamma pianista e scrittrice di libri per bambini, lo zio compositore e direttore d’orchestra, il fratello pianista e compositore: non c’è da stupirsi che il piccolo Claudio Abbado abbia iniziato lo studio del pianoforte all’età di sette anni e sia diventato uno dei direttori d’orchestra più influenti del XX secolo.
Un talento musicale indiscutibile e un carisma personale unanimemente riconosciuto.
Milanese di nascita, nel 1968, a soli 35 anni, fu nominato direttore principale dell’orchestra del Teatro alla Scala di Milano e 4 anni più tardi direttore musicale. Si capì presto che il suo lavoro sarebbe stato rivoluzionario. Non soltanto dal punto di vista strettamente musicale, ma anche dal punto di vista culturale e sociale. Ampliò il repertorio della Scala mettendo in programma titoli poco eseguiti e opere contemporanee. Abbado non era soltanto un grandissimo direttore che affascinava e lasciava senza fiato il pubblico con esecuzioni impeccabili ed interpretazioni intense e appassionate.
“Abbado faceva musica con una letizia inarrivabile, con una grazia quasi divina, anche quando dirigeva pagine drammatiche o fosche o strazianti. Arrivava al cuore delle partiture, sempre, e ne svelava la bellezza rimanendone lui stesso incantato. Lo ascoltavi, ancora lo ascolti nelle registrazioni, e ti dicevi semplicemente: che gioia!” Così lo descrive Nicola Campogrande, compositore italiano.
Abbado aveva un’idea della musica e della cultura che non ha mai abbandonato. Diceva: “La musica è necessaria alla vita. Per questo motivo da sempre insisto sull’importanza dell’educazione musicale, che in ultima analisi diventa educazione dell’uomo”. E in sintonia e coerenza con questa idea si adoperò ad avvicinare alla musica un numero sempre più grande di persone, pianificando concerti a prezzi agevolati, cercando soprattutto di coinvolgere anche i giovani e gli operai. Insomma la Scala, il tempio della musica italiana, aperta a “lavoratori e studenti”: una rivoluzione. Nel 1986, non condividendo la linea programmatica della nuova direzione amministrativa e musicale del teatro e dopo aver diretto per 567 serate opere, concerti, balletti, lascia la Scala. Va a Vienna a dirigere la Wiener Philharmoniker e poi a Berlino per sostituire Von Karajan alla guida della Berliner Philharmoniker, due fra le più prestigiose orchestre filarmoniche del mondo. Basterebbero questi due incarichi per capire la grandezza del Maestro, termine con cui veniva chiamato, ma che lui non amava e ribatteva sempre “Chiamatemi Claudio”.
La sua passione per la musica era pari al suo impegno civile. È stato un instancabile promotore di progetti musicali e sociali, ha fondato orchestre di giovani all’estero e in Italia e ha portato la musica nelle fabbriche, nelle carceri, negli ospedali. Abbado concepiva la musica come strumento importantissimo di promozione sociale: quando nel 2012 tornò a dirigere alla Scala, 26 anni dopo il suo abbandono, non chiese soldi, ma la promessa da parte del Comune di piantare 90.000 alberi a Milano. La promessa non fu mantenuta dal Comune.
Il sogno del Maestro era quello di portare seriamente lo studio della musica nella scuola, fin dalle prime classi. Un’idea che sperava di realizzare con maggiore speranza dal suo seggio al Senato, dopo essere stato nominato senatore a vita. Un’esperienza politica troppo breve. La malattia e la morte hanno impedito il realizzarsi del sogno.Fra le tante persone che hanno avuto la fortuna di assistere ad un concerto di Abbado c’è Alessandro Baricco, raffinato critico musicale oltre che famoso scrittore. Ecco la sua riflessione dopo aver assistito all’esecuzione della Quinta Sinfonia di Beethoven diretta dal Maestro: “Ho sentito la Quinta, lunedì sera, e la cosa accecante era che tutto ciò che ascoltavo suonava come necessario, non so come spiegarlo, era reale perché necessario, si sarebbe interrotto il mondo se una sola di quelle frasi musicali non avesse partorito effettivamente quella dopo, se qualcuno avesse inceppato il gran teorema, era una macchina che di deduzione in deduzione produceva forza (di passaggio anche dolore, poesia, perfino divertimento) ma soprattutto forza, una forza che nessuna debolezza avrebbe potuto spazzare da lì.”
Attività
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